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Riflessioni sulla remunerazione del lavoro contadino – 2

da | Feb 4, 2013 | Notizie

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Ciao, continuo ad inoltrare le riflessioni uscite dal “gruppo prezzi” genuino clandestino di CampiAperti. Questo è mio.

Buona lettura.

Specifichiamo che la condivisione vuole anche essere stimolo all’incontro del tavolo prezzi che si terrà in Val di Susa.

Michi

«Avevo deciso che volevo spender poco per pranzo, e allora sono andato dal panettiere a comprare due panini, e me li sono fatti riempire di mortadella nella gastronomia accanto»,

«ma due panini fatti di aria che saran pesati 150 grammi, il ho pagati un euro e novanta.»

Il pane a Bologna è caro rispetto alle altre città.

A meno che non vai alla Coop e c’è sempre il pane EURO, con l’etichetta gialla, te lo dà la «panettiera» al bancone dei prodotti da forno, pesa un chilo e costa un euro.

Quando lo affetti la crosta si stacca dalla mollica, e ogni fetta si sgretola sotto la lama del coltello.

Un chilo di pane della Fede costa 4 euro. Che non è poco, rispetto al pane coop, ma lo rimane rispetto a quello del panettiere in centro.

Personalmente impazzisco per i carciofini sott’olio. I carciofini sott’olio a Bologna costano come in tutto il resto d’Italia. Bene o male al discount tra uno e due euro, in un supermercato medio, costano tra i tre e i quattro euro circa per 200 grammi.

I carciofini di Laura costano 4 euro, 100 grammi.

Per andare a Napoli un paio d’anni fa’ ho fatto solo statali e non autostrada. E tra il Lazio e la Campania ho visto distese infinite di carciofi. Monocoltura. Anche tra l’aereoporto di Girona e il centro di Barcellona ci sono grandi estensioni di carciofi.

Il prezzo del supermercato nella maggior parte dei discorsi è considerato come il prezzo accettabile, il prezzo di riferimento.

E’ il supermercato che, nelle dinamiche del libero mercato, detta il prezzo. Il supermercato, per arrivare al banco col prezzo più basso possibile, sottopaga i produttori. Dà il resto al trasporto, e lamaggior parte del costo se lo tiene poi lui. Di conseguenza il produttore ha a disposizione un budget molto limitato, con il quale deve pagare i concimi, i diserbanti e i braccianti. L’unico prezzo su cui può giocare è quello della manodopera, perché i prodotti chimici hanno quel costo e basta.

Molto spesso i braccianti – e non solo per i carciofini – sono persone svantaggiate, il cui inserimento nella società è reso difficile da norme che li rendono fuorilegge già solo perché si trovano in Italia.E vengono sottopagati.

Comprare i carciofini di massa, mi renderebbe complice di un sistema ingiusto. In cui per mangiare, della terra è stata impoverita, delle persone sfruttate e pochi si arricchiscono.

Io posso innalzare la mia autostima, io «consumatore» divento consapevole di essere «co-produttore». Questo potere ce l’ho tutte le volte che faccio la spesa.

Se compro al supermercato dò i soldi a un compratore senza anima che guarda solo al proprio profitto. Così si possono definire gli attori dell’economia finanziaria.

Scegliere di non comprare i carciofini al supermercato, potrebbe in questo senso rivelarsi un gesto politico e militante. Non solo per dove vanno a finire i miei soldi, ma perché se li compro da chi li hacoltivati insieme ad altri ortaggi, in una piccola azienda agricola, senza uso di diserbanti e concimi, in un modo sostenibile per la terra e per l’uomo, genero un meccanismo sociale diverso.

Incontro Giovanni al mercato, e gli chiedo se ce li ha, e lui mi racconta di come è andata quest’anno con i carciofi e io decido quanti comprarne. Freschi.

La relazione tra me e Giovanni esiste perché lui fa le verdure e io le mangio.

Esco di casa per il bisogno di mangiare e vado da Giovanni perché mi fido di lui.

Immagino che un tempo i vicini di casa si conoscevano perché ognuno aveva delle competenze diverse e ciascuno aveva bisogno dell’altro. Chi aveva una sega ad acqua, chi il forno del pane, chi iconigli ecc…

Con la società dei consumi di massa, molto spesso le relazioni sociali ruotano solo attorno ai soldi. Senza alcun interesse di conoscersi. Come tra la cassiera e noi in fila alla cassa. E questo porta allacompetizione e alle male lingue. A una società in cui non c’è complicità, ma competizione.

Nei mercati di contadini a vendita diretta di Campiaperti il percorso di autorganizzazione verso l’emancipazione dalla competizione è difficile e lungo. Ma pian piano, anche nei mercati giovani, iproduttori abbandonano la paura, in nome della complicità con i propri vicini di banco, consapevoli che l’ampliamento dell’offerta porta quasi sempre ad un aumento del numero dei frequentatori delmercato, e non ad una diminuzione delle vendite personali.

Quella scatoletta di tonno che passa sul tapis roulant del supermercato, accompaganata dal tlin tlin dello scanner dei codici a barre, viene da un’isola del pacifico dove si fa una pesca industrialedevastante che sta facendo sparire i tonni dal mare. Il mio desiderio di tonno va di pari passo con l’occhio che non vede, e il cuore che non duole.

E io contribuisco. Se non dò peso a quello che passa sul tapis roulant, se non immagino che posso far altro invece che mettermi in fila, io contribuisco alla devastazione sociale, politica e ambientaleche ci circonda.

L’obiezione che sento più spesso rispetto al comprare dal contadino è che costa troppo.

Che va bene, ma va bene per una nicchia di persone, che i precari che guadagnan poco come fanno. Recentemente un assessore in regione ci ha detto: «Dobbiamo sempre avere presente il pensionato oil precario che vanno alla coop e che comprano il pollo arrosto a 6 euro, perché prendono 600 euro al mese. Anche io me lo chiedo come sia possibile che da quei 6 euro si paghi l’allevatore, ilmangime, il macello, la pulizia, la cottura, il sacchetto dove me lo vendono e la cassiera. Ma c’è chi non ci pensa».

Mio padre è un uomo di sinistra. Oggi non ha molto senso in Italia forse definirsi così. Ma un tempo lo aveva. E quando mi sono trasferita a Bologna e mi lamentavo dei prezzi e nel frattemponascevano i discount e io andavo al discount, mio padre alle mie lamentele rispondeva con estrema gravità, che quel prezzo era troppo basso. Che in realtà noi paghiamo troppo poco il cibo chemangiamo. Io mi sentivo profondamente offesa da queste sue affermazioni, mi sembrava che ci provasse gusto a dirmi che c’è del marcio dietro, a voler essere sempre contro, a non essere complice disua figlia.

E’ stata una sorpresa, dopo dieci anni di presa di autocoscienza e scoperta del mondo, dire che son d’accordo con lui.

Chiedere il pane ad un euro al chilo, significa dare la propria disponibilità ad alimentare un mondo dove le farine vengono da campi coltivati da decenni solo a grano, la cui terra è ormai povera edipendente da concimi chimici di sintesi. Che inquinano le falde e l’acqua che beviamo. Che danno lavoro solo a una persona su un trattore, che usa petrolio, che per estrarlo popolazioni lontane (adesempio in Niger) vengono derubate, espropriate della terra. Gli impianti il più delle volte inquinano le falde rendendo l’acqua non potabile, i gas che i pozzi rilasciano bruciati a fuoco vivo vita naturaldurante – causando malattie croniche alle vie respiratorie che poi diventano tumori – invece che essere utilizzati per fornire energia elettrica agli autoctoni.

Mentre se volessimo pagare il giusto, un pane prodotto con farine sane provenienti da sistemi agricoli rispettosi della terra e dell’uomo e macinate a dovere, cotto in un forno a legna con legna buona,ebbene il pane costerebbe più di un euro al chilo.

E se non posso permettermi di pagare il pane più di un euro al chilo posso sempre farmelo io.

Chiedere la passata di pomodoro a un euro significa rendersi disponibili ad alimentare le tasche di un’industria che imponendo un prezzo al chilo ridicolo ai produttori, li costringe a usare manodoperasfruttata rivolgendosi a caporali. Persone che vivono in casolari senza luce e acqua e fognature, e che dipendono dal caporale, che a volte li paga a volte no, chiede dei soldi per il trasporto sul luogo dellavoro, per la bottiglietta d’acqua e il panino di pausa pranzo. 20 euro al giorno che diventano 15.

La passata di pomodoro di Michele costa 2 euro.

La rivoluzione economico politica che si genera scegliendo di acquistare solo direttamente da chi produce, abbiamo detto che genera anche una rivoluzione sociale. Mettendo su un altro livello loscambio tra persone. Non su quello dei soldi, ma su quello della complicità.

Anche chi guadagna 600 euro al mese potrebbe smettere di alimentare un mondo ingiusto, comprando cibo locale. Ma spesso dire che non si hanno soldi se non che per accedere ad un cibo daproletari, è molto appagante politicamente e identitariamente. Sono costretto ad andare al discount. Invece iniziare a dedicare una parte più grande del proprio reddito al cibo e meno a servizi etelefonini, televisioni, automobili, vestiti e quantaltro risulta più «cristiano» come gesto, più legato al sacrificio, un immaginario da San Francesco. Che non è molto figo ai giorni nostri. O per lo menoil proletario è più figo.

Emilio (apicoltore di montagna) un po’ di anni fa’, ad un’assemblea disse che aveva fatto il voto di povertà, e a me era venuto in mente San Francesco. Mi veniva un po’ da ridere. Quando poi mi sonaccorta che per le statistiche io sono povera, ho pensato che ho dato i consumi futili in cambio del benessere. E va bene così.

Ma ciò, a mio avviso, non dovrebbe servire a sentirsi diversi dalla massa, una nicchia radical chic che ha capito – perché istruita e forse mai venuta a stretta conoscenza della fame – ma ad emanciparsidalla necessità di costruire la propria identità tramite i consumi. Compro bio quindi sono bravo.

Per ridurre i consumi, bisogna spogliarsi dell’appagamento identitario che deriva dall’acquisto. E questo è molto rivoluzionario, visto che il liberismo per funzionare dice: la società non esiste, esistonosolo gli individui. M. Tatcher.

Ricostruire una società dove le persone parlano tra di loro dopo cena invece che chiudersi in casa a guardare la tv, e io individuo mi costruisco parlando con gli altri e non comprando cose che servano a far capire chi sono.

Acquistare perché necessario alla propria vita. Mangiare è necessario a vivere.

In questo senso, acquistare in un circuito economico di cui si conoscono i metodi produttivi e si decidono le regole, dovrebbe portare a capire che, nel sistema capitalistico, consumiamo troppo. Più delnecessario. E non posso pensare di traslare la mia spesa pari pari dal supermercato al mercato contadino biologico. Perché i soldi non mi basterebbero.

Diminuire la quantità ma aumentare la qualità. Più nutrimento in meno cibo. Farine più proteiche perché macinate da poco, frutta e verdura ricca di vitamine perché fresca ecc…

Nella società di massa solo una minima parte del reddito viene destinata all’alimentazione. Quando si era tutti più poveri invece quasi tutto il reddito veniva utilizzato per mangiare.

Insomma questo per dire che dietro la frase “costa troppo”

si cela la paura di abbandonare uno stile di vita che dà sicurezza e appagamento istantanei e sicuri a buonmercato.

Basta entrare allo spaccio dei cinesi e si possono comprare un sacco di cose.

Ma poi quel mondo di cui ci si sente vittima perché non ci dà il salario minimo garantito

lo alimentiamo.

Vittime e carnefici.

Meglio poveri, come dice Emilio.

Per leggere la prima parte

http://www.wwoof.it/it/bacheca/tutte-le-notizie/news/item/210-riflessioni-sulla-remunerazione-del-lavoro-contadino.html

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Pubblicato da Claudio per WWOOF Italia

Nello Staff di WWOOF Italia mi occupo fra le altre cose di comunicazione. Se hai notizie di iniziative o progetti da pubblicare contattami all'indirizzo claudio.pozzi@wwoof.it.

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